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Danni da fauna selvatica: quale ente è responsabile per il risarcimento?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza e sgombrato il campo dalle incertezze

Danni all’agricoltura che ammontano a 60 milioni di euro all’anno, incidenti stradali, problemi di sicurezza e di salute pubblica. È questa la fotografia dei danni provocati dagli animali selvatici in Italia. Un tema troppo spesso sottovalutato, ma su cui da più parti si richiedono interventi e provvedimenti chiari. In più, tra i molteplici effetti della pandemia di Covid-19, i mesi di lockdown hanno provocato un ulteriore aumento della presenza degli ungulati, prevalentemente cinghiali, già in crescita esponenziale negli ultimi anni, e che sono tra gli animali più sotto accusa per i danni provocati. In 40 anni, infatti, i cinghiali selvatici sono passati da 50.000 a 2 milioni e ogni anno causano circa 10.000 incidenti stradali, a cui si aggiungono i danni all’agricoltura citati poc’anzi. Nei mesi in cui la pandemia ha costretto tutti in casa, i cinghiali hanno allargato il loro raggio d’azione, “colonizzando” anche territori prima inesplorati, come le zone urbane e i centri abitati. Le associazioni di categoria degli agricoltori da molti anni chiedono che i risarcimenti per gli ingenti danni subiti alla loro attività siano rapidi e integrali. Ma chi paga? E chi risarcisce l’automobilista dopo un incidente stradale causato dall’attraversamento improvviso di cinghiali?

 

La risposta a queste domande è stata oggetto del dibattito giuridico dell’ultimo decennio, con una serie di pronunciamenti spesso discordanti. Perché la domanda “chi deve pagare?” non ha una risposta univoca o, almeno, non l’ha avuta fino al nuovo orientamento della Corte di Cassazione (Sez. III Civile, sentenza n. 7969/2020), che ha fatto chiarezza sul tema e ha stabilito che sono le Regioni ad avere in carico questa responsabilità, in quanto il loro ruolo è assimilabile a quello del proprietario di un animale. Per capire l’importanza di questo pronunciamento va detto, innanzi tutto, che in passato i danni provocati dagli animali selvatici erano considerati non indennizzabili e quindi restavano a carico di chi li subiva. A partire dal 1977, alcune specie protette sono state incluse nei beni del patrimonio indisponibile dello Stato e alle Regioni sono state assegnate le relative funzioni normative e amministrative. Successivamente, la protezione della fauna selvatica è stata attribuita alle Province (con la legge 142/1990) ed è stato poi ancor meglio definito l’oggetto di questa tutela.

Come viene evidenziato in un recente lavoro su questa materia redatto dall’avvocato Michele Tavazzi dello studio legale Tavazzi Law Firm, su incarico di Marsh, la stessa Corte di Cassazione fa notare che, negli anni, chi ha subito questo tipo di danni si è trovato – come è facile immaginare – a doversi districare “in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, etc.), i cui rapporti interni non sono sempre agevolmente ricostruibili”. Inoltre, non solo la persona interessata aveva subito il danno, ma doveva anche individuare e provare la condotta colposa dell’ente, tanto che – di fatto – alla fine il rischio era proprio quello della mancata tutela. L’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, di recente ha messo in guardia proprio dal rischio delle mancate denunce rispetto ai danni arrecati dalla fauna selvatica al settore agricolo, tendenza che sta rendendo molto difficile anche il lavoro di mappatura degli animali sul territorio nazionale. Le criticità, poi, riguardavano anche altri elementi. Tra questi, la Cassazione mette in evidenza il fatto che il dover accertare di volta in volta chi fosse l’ente responsabile abbia portato a ricostruzioni che si scontravano con le normative regionali e a evidenti contraddizioni tra decisioni simili che hanno portato a regimi differenziati tra Regione e Regione. Tanto è stato centrale il tema della responsabilità e della ricerca di attribuzione di quest’ultima, che spesso è passato in secondo piano un elemento fondamentale: che questa responsabilità da attribuire vi fosse effettivamente.

Proprio per uscire da questa impasse, la Corte di Cassazione ha deciso di rivedere tutto l’impianto precedente: se prima la responsabilità ricadeva nella fattispecie del risarcimento per fatto illecito (art. 2043 del Codice Civile), con questa sentenza la Cassazione la fa ricadere nella responsabilità per danni cagionati da animali (art. 2052 del Codice Civile) e il soggetto pubblico responsabile è la Regione. Questo cambio di passo è una vera e propria inversione di rotta rispetto alla giurisprudenza precedente e comporta anche che su chi subisce il danno ricade l’onere della prova. È importante ricordare che la Corte, nel caso specifico di incidenti stradali tra auto e animali selvatici, richiede che chi subisce il danno debba anche dimostrare che il comportamento dell’animale sia stato la vera e propria causa del danno e sia avvenuta nonostante si sia usata tutta la cautela e attenzione possibile. La Regione, a quel punto, per evitare il risarcimento potrà solo dimostrare di aver messo in atto tutte le misure di controllo e gestione possibili e che quindi il danno è avvenuto al di fuori della sua sfera di controllo.  

A questo punto è chiaro come la Corte di Cassazione si sia discostata dall’orientamento prevalente della giurisprudenza su questo tema, segnando una svolta netta a favore del danneggiato. Vista la delicatezza del tema, le avvocature regionali così come tutti gli operatori del diritto auspicano una pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione, viste anche le molteplici questioni di diritto coinvolte.