
Bruno Dotti
Practice Leader, Enterprise Risk Services & ESG, Continental Europe
-
Italy
Conclusioni e punti principali della Survey 2025.
Che si tratti di gestire il rischio climatico o di agire proattivamente per contrastarlo mediante investimenti in mitigazioni tecnologiche, l'adattamento ai diversi cambiamenti innescati dall’evoluzione del clima è sempre più all’ordine del giorno, tanto nell’implementazione di azioni bottom-up per risanare la business continuity quanto nella ridefinizione di strategie e piani di resilienza proattivi, che scontino investimenti e adeguamento dei fondi rischi.
La Climate Adaptation Survey di Marsh è stata realizzata in un contesto caratterizzato da eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e severi (come ad esempio stress termico e idrico oppure alluvioni), condizioni che hanno fatto maturare obblighi di coperture ma soprattutto una variazione di costi operativi e capitalizzati, nonché anche una profonda consapevolezza che ha portato - specie nei grandi gruppi - a trovare delle soluzioni e delle modalità di scenario analysis per poter prendere le giuste decisioni tra bilanciamento e ottimizzazione dei costi, interrogando CFO e Pianificazioni strategiche, responsabili di impianto per pianificare modelli produttivi resilienti, e quindi adatti alle nuove condizioni.
Dalla survey di Marsh - che si interroga se siamo pronti alla grande sfida che possiamo nominare “adattamento al clima” - emerge che un incoraggiante 78% delle organizzazioni intervistate afferma che già effettua o sta effettuando un’attività di identificazione, valutazione e monitoraggio dei propri rischi climatici. Tuttavia, oltre il 50% non svolge analisi costi-benefici a supporto delle decisioni di investimento per poter capire come contrastarlo o come adattarsi alla frequenza e alla severity dei vari eventi . Sebbene la mancata adozione di approcci quantitativi non abbia ostacolato gli sforzi progressivi di adattamento, le aziende hanno l'opportunità di quantificare meglio il valore delle misure di resilienza e di integrarle più efficacemente nel processo decisionale strategico.
La nostra indagine condotta a livello globale su grandi gruppi approfondisce proprio il tema della capacità di queste organizzazioni nel saper trovare una chiave di adattamento al cambiamento climatico. La survey approfondisce il punto di vista del dei risk manager del settore privato. Un settore che per poter affrontare il tema ha anche un estremo bisogno di dialoghi ed investimenti della sfera pubblica.
Visti da questa angolazione, i risultati forniscono un’interpretazione sfaccettata delle tante sfide, priorità e opportunità che costellano il percorso verso un futuro climatico più resiliente.
Le aziende subiscono gli effetti delle condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo, dagli incendi in Nord America alle inondazioni in Europa, fino alle tempeste tropicali in Asia. Oltre a causare devastazione, questi eventi hanno anche importanti conseguenze finanziarie.
L'indagine ha rilevato che negli ultimi tre anni le condizioni meteorologiche estreme hanno riguardato prevalentemente imprese in Asia (73%), India, Medio Oriente e Africa (68%) e Canada (67%). La percentuale di imprese europee impattate si attesta invece sul 40%, con inondazioni e stress idrico tra i principali rischi. Queste differenze geografiche sottolineano l'importanza di implementare valutazioni del rischio localizzate e strategie di resilienza su misura.
In base alla survey, il 74% degli intervistati ha subito perdite o danni materiali gravi a causa di condizioni meteorologiche estreme. Oltre ai danni materiali, l'indagine evidenzia che tali eventi hanno un impatto sempre maggiore sulla sicurezza operativa e un diretto coinvolgimento del personale e relativi contrattisti, con il 67% degli intervistati che segnala perdite o danni legati all’attività e alle persone.
È importante sottolineare che i risultati evidenziano come i rischi climatici creino pericoli che vanno oltre le preoccupazioni relative agli asset. Anche gli impatti di tipo sistemico sono significativi, seppur in minor misura: il 35% delle aziende intervistate ha segnalato conseguenze sui propri clienti, il 32% sulle infrastrutture critiche ed il 21% su risorse ed ecosistema dei servizi.
Date l’entità e la natura interconnessa delle minacce legate al clima, non sorprende che il bilancio finanziario delle catastrofi naturali continui ad aggravarsi. Alla fine del 2024, i sinistri catastrofali assicurati - una sottostima della reale entità dei danni subiti - hanno oltrepassatoa livello globale i 100 miliardi di dollari per il quinto anno consecutivo. Nel 2025, i sinistri assicurati relativi a catastrofi naturali stanno già per superare questa cifra.
Queste tendenze evidenziano l'urgente necessità, per le organizzazioni, di adottare un approccio scientifico per comprendere come siano state colpite dagli eventi meteorologici estremi, in modo da potersi preparare meglio, rispondere e allocare le risorse.
Emerge una notevole incoerenza nella profondità dell'analisi del rischio climatico. Anche se il 75% degli intervistati afferma che la propria azienda effettua una identificazione e valutazione degli impatti climatici futuri, meno della metà (38%) realizza valutazioni che vanno oltre il livello qualitativo. Quasi un quarto (22%) degli intervistati dichiara di non valutare per niente gli impatti climatici futuri, ad esempio considerando gli scenari. Tra i principali motivi citati figurano: il fatto che non sempre si è a conoscenza dell’esistenza di dati climatici per rischio e geografia; l'eccessivo ricorso a modelli catastrofali concentrati solo su dati attuali o storici; l’applicazione di piani di business continuity che non sempre tengono pienamente conto degli scenari scientifici ampiamente disponibili.
Inoltre, l'ambito di valutazione dei rischi di tipo climatico è piuttosto limitato ed è perlopiù concentrato sugli asset fisici (85%) e su attività e persone (66%), che sono elementi importanti. Tuttavia, molte aziende sottovalutano o trascurano i rischi a livello di sistema, come la dipendenza dalle infrastrutture critiche (45%) e le vulnerabilità dei fornitori (43%), fattori che possono aggravare significativamente l'impatto degli eventi sulla propria continuità operativa.
I rischi climatici fisici stanno amplificando le minacce acute e croniche. Il pericolo più comunemente citato sono le inondazioni, seguito dallo stress termico e lo stress idrico, ma sussistono differenze a livello geografico.
La valutazione dei rischi climatici acuti e cronici consente di prevedere in modo più efficace i potenziali impatti degli eventi legati al clima. Per esempio, i modelli “multi-rischio” che integrano i rischi sia acuti che cronici possono consentire alle aziende di dare priorità agli investimenti per la resilienza e l’adattamento, elaborare piani di emergenza completi e comprendere meglio la natura interconnessa di questi rischi.
L'indagine rivela che gli intervistati si concentrano principalmente sulle misure operative (45%) e finanziarie (30%) per rafforzare la resilienza ai cambiamenti futuri. In particolare, oltre la metà delle aziende ha già implementato o pianifica di adottare strategie di gestione della continuità operativa (BCM) e interventi tecnico-ingegneristici, a conferma che queste aree sono ritenute fondamentali per la stabilità e l’attenuazione dei rischi climatici. Inoltre, il 25% ha dichiarato di implementare misure strategiche, come modifiche a prodotti o servizi.
In termini di governance, la responsabilità dell'adattamento ai cambiamenti climatici sembra distribuita in modo disomogeneo. Mentre il 54% degli intervistati identifica il sustainability manager come il principale responsabile delle iniziative legate al clima, solo il 28% assegna questa responsabilità al chief risk officer o all’head of risk. Questa differenza può indicare che l'adattamento ai cambiamenti climatici è ancora considerato in un’ottica di sostenibilità e non come una tematica del risk management. L'integrazione del climate risk nel più ampio ambito dell’enterprise risk management potrebbe migliorarne coerenza con la strategia ed accountability ed assicurare che le considerazioni sull'adattamento ai cambiamenti climatici siano integrate a tutti i livelli nel processo decisionale.
In un’ottica futura, il 28% degli intervistati prevede di aumentare l’investimento per l'adattamento climatico nel giro di uno - tre anni, mentre il 20% ritiene di incrementare l’investimento nei prossimi tre-cinque anni. Questo lasso di tempo riflette un crescente senso di urgenza nell'affrontare i rischi legati al clima, coerentemente con le tendenze generali del settore e le conclusioni del Global Risks Report 2025, che identifica gli eventi meteorologici estremi come minacce immediate, a breve e lungo termine. Tuttavia, è interessante notare che una percentuale non piccola (22%) di intervistati non prevede di aumentare gli investimenti per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Questa differenza evidenzia una diversa prioritizzazione ed allocazione delle risorse, dovuta probabilmente a una diversa percezione del rischio, ma anche a pressioni normative o vincoli finanziari differenti.
Anche se molte aziende riconoscono l'importanza dell'adattamento climatico, risorse limitate possono portare a dare priorità ad altre necessità. La maggior parte degli intervistati (60%) ritiene di disporre di un budget adeguato agli interventi di adattamento climatico. È interessante notare che l'analisi costi-benefici non rappresenta un ostacolo significativo per gli investimenti: oltre il 50% di coloro che dispongono di finanziamenti dedicati non effettua regolarmente tali analisi. Questo risultato può indicare un approccio pragmatico secondo cui le aziende sono disposte ad allocare le risorse sulla base di una comprensione “intrinseca” del rischio e non a seguito di una valutazione economica dettagliata.
Tuttavia, una parte significativa degli intervistati (40%) ritiene che la propria azienda non disponga di finanziamenti sufficienti per mettere in atto misure efficaci di adattamento ai cambiamenti climatici. Tra gli ostacoli, vengono citate la tendenza a privilegiare altre priorità aziendali a scapito degli interventi di adattamento climatico, la mancanza di conoscenza e comprensione degli scenari climatici futuri e l’esistenza di altri interessi che si contendono le risorse limitate. Si evidenzia pertanto un rischio di scarsa comprensione della reale portata dell'adattamento climatico e dei benefici che ne conseguono (per esempio ogni dollaro investito in resilienza e preparazione rappresenta 13 dollari in risparmi a lungo termine e costi evitati), a cui si associa la necessità di trovare un equilibrio tra gli investimenti legati al clima e le esigenze operative immediate.
Le prime tre aree in cui si sente la necessità di un maggiore supporto sono gli interventi sugli asset, la gestione della business continuity (BCM) e lo sviluppo di sistemi di early warning. Gli interventi tecnico-ingegneristici e il BCM sono anche gli ambiti in cui si agisce maggiormente o si prevede più attivamente di implementare misure, a riprova dell’esistenza di una chiara enfasi sulla resilienza operativa e la mitigazione dei rischi.
Esiste un potenziale disallineamento: sebbene il 75% delle organizzazioni stia valutando gli impatti climatici futuri, principalmente da una prospettiva di rischio, molte non hanno ancora riconosciuto pienamente l'adattamento climatico come opportunità di investimento per migliorare la gestione del rischio d’impresa complessiva; il 40% dei rispondenti ha indicato che i finanziamenti attuali per l'adattamento climatico non sono adeguati. Poiché esiste un consenso diffuso sull'importanza cruciale della mitigazione climatica, tali sforzi hanno storicamente ricevuto maggiore attenzione, rendendo più difficile ottenere attenzione e investimenti dedicati per l'adattamento. Fortunatamente, una serie policy, soluzioni di finanziamento del rischio e strategie di pianificazione della resilienza sono a disposizione dei risk manager per colmare questo divario.
L'indagine mostra che nelle aziende intervistate sono le pressioni interne e gli stakeholder a motivare l’implementazione di misure di adattamento climatico, piuttosto che le considerazioni di natura assicurativa. Circa il 75% degli intervistati afferma di essere poco o per niente preoccupato attualmente per la mancata disponibilità o per i costi di un’assicurazione, suggerendo che l'accesso al mercato assicurativo non è il primo elemento di motivazione degli sforzi per l’adattamento climatico. Infatti, in media solo il 5% dei rispondenti ha indicato l'accesso alle assicurazioni come motivazione principale per investire nella resilienza climatica e solo il 10% non percepisce una domanda significativa di adattamento da parte dei propri assicuratori. Sebbene l'accesso all'assicurazione non sia il driver principale della domanda di interventi di adattamento, la necessità di gestire i rischi è la motivazione che viene indicata più spesso per la decisione di investire nell'adattamento climatico (53%). Questa motivazione riflette verosimilmente la crescente consapevolezza che il cambiamento climatico presenta rischi sistemici per le aziende e richiede quindi interventi strategici di adattamento per proteggere gli asset, preservare i flussi di ricavi e migliorare la resilienza.
Oltre alla gestione del rischio, le organizzazioni sono motivate dall'imperativo di tutelare le proprie operazioni, la reputazione e la posizione di conformità, riconoscendo al contempo il potenziale vantaggio competitivo (17%) e le pressioni normative (13%) come fattori che spingono a maggiori investimenti nell'adattamento climatico. Allineare le soluzioni assicurative a queste motivazioni più ampie può contribuire a migliorare i meccanismi di trasferimento del rischio, supportando le organizzazioni nel raggiungimento dei loro obiettivi di resilienza.
Practice Leader, Enterprise Risk Services & ESG, Continental Europe
Italy
Director, Head of Climate Resilience, Marsh UK
United Kingdom
Head of Climate & Sustainability Risk, Marsh
United Kingdom
Climate & Sustainability Advisory Leader, Asia and Pacific, and Climate Centre of Excellence Co-Leader
Singapore
Climate & Sustainability Advisory Leader, Latin America and Caribbean
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